Recensione 🖋 Epepe - Ferenc Karinthy

Epepe di Ferenc Karinthy
Provate ad immaginare di stare per partire per un viaggio, in aereo.
Un viaggio nemmeno troppo lontano, niente di troppo pesante. Immaginate che, poco dopo esservi sistemati al vostro posto, vi addormentiate senza porvi troppi problemi, sapendo di avere comunque qualche oretta di volo davanti a voi.
Ora immaginate che, senza sapere come né perché (avete preso l'aereo sbagliato? Era previsto uno scalo e non vi siete svegliati?), siate finiti da tutt'altra parte, in un posto in cui si parla una lingua che voi non conoscete affatto. Diciamo... in Corea, va', giusto per rimanere sul pezzo con le Olimpiadi di Pyeongchang.
Come minimo, sarebbe un bel problema riuscire a farsi capire, soprattutto se doveste avere la sfortuna di incontrare solo persone che non conoscono nemmeno una parola d'inglese.

Se già al pensiero di una situazione simile siete stati colti non dico da un attacco di panico ma almeno da un pizzichino d'ansia, sappiate che non vi state avvicinando nemmeno lontanamente a ciò che accade a Budai, il protagonista di Epepe di Ferenc Karinthy.

Budai è un linguista di quelli con i controfiocchi, parla decine di lingue e probabilmente ne capisce altrettante dato che, ça va sans dire, "conoscendo il sanscrito, tiri giù tutto il ceppo" [Cit. necessaria]. E, da esimio linguista qual è, sale su un aereo diretto ad un convegno ad Helsinki. Solo che, ahilui, appunto si addormenta durante il volo per poi risvegliarsi in un luogo sconosciuto, in cui gli abitanti comunicano in una lingua che Budai non ha mai sentito e che non sembra avere nulla in comune con alcuna lingua nota.

Scaricato in un albergo dalla hall perennemente affollata, in cui tenterà più volte di farsi capire, ricorrendo a tutte le lingue che conosce, da un personale molto poco disponibile e paziente, col passare delle ore e dei giorni si ingegnerà per trovare il bandolo della matassa e capire come lasciare quel posto per tornare a casa.
Che ci faceva lui qui, e che cos'era questo qui, dove era, in che città, paese, continente, in quale dannata parte del mondo era finito? Provò a ripercorrere ancora una volta tutta quella vicenda senza senso, fidando nella sua capacità di ragionamento, quell'attitudine deduttiva sviluppata in anni di lavoro scientifico, e non ultimo anche nella sua esperienza di viaggiatore, poiché aveva visitato molti paesi sin da quando era studente. Ma per quanto ripassasse nella mente gli eventi delle ultime ventiquattr'ore, anche a ritroso, non gli riuscì di individuare in quale circostanza avrebbe dovuto agire diversamente, dove o a chi avrebbe dovuto rivolgersi.
Sfortunatamente, quest'enorme città non fornisce appigli per capire in quale angolo di mondo ci si trovi: le insegne sono scritte nell'alfabeto incomprensibile di una lingua incomprensibile, che per di più sembra mutare di continuo, e non sembrano esserci collegamenti di sorta col resto del pianeta, che sia una stazione o un ufficio postale.

A complicare il tutto ci si mette il caos frenetico, onnipresente, eterno, che contagia tutto. Ci sono centinaia di persone ovunque, impegnate in attività di cui molto spesso sfugge il senso. Farsi largo nella calca è possibile solo con gomitate e spintoni, tutti hanno fretta e pochissima pazienza, o tempo, o voglia, di dare una mano a Budai tentando di capire quale sia il suo problema.
Per un incredibile colpo di fortuna, il linguista riuscirà, in quel marasma, a trovare l'unica persona con la quale stabilire perlomeno un contatto: Epepe.
O Pepep.
O Veve.
O Tjetje.

Budai non è sicuro di quale sia il suo nome, dato che la ragazza, che lavora come ascensorista nell'albergo in cui lui alloggia, sembra cambiare il modo in cui articola i suoni ogni volta che lo pronuncia.

Epepe di Ferenc Karinthy

La sensazione è che in questa misteriosa megalopoli si concentri letteralmente tutta l'umanità, che pagina dopo pagina manifesta in modo angosciante sempre più somiglianze con la nostra società, mentre Budai è intrappolato nel ruolo dell'osservatore esterno, proprio come potrebbe esserlo un alieno che si ritrovasse sul nostro pianeta senza sapere come stabilire un contatto con noi.

La frustrazione e la claustrofobia sofferte dal protagonista, bloccato in questa condizione di perenne incomunicabilità, contagiano in maniera potentissima anche il lettore, che sperimenta lo stesso paralizzante senso di smarrimento e solitudine che gela la bocca dello stomaco.
Senza riferimenti, lottando contro la corrente mentre tutto attorno a lui continua a girare vorticosamente senza tregua e pian piano svaniscono tutte le sicurezze acquisite con la maturità, Budai arriverà a sentirsi come un bambino sperduto, trascinando chi legge in un incubo che sembra non avere uscita né fine.
Voto
Epepe di Ferenc Karinthy
Ferenc Karinthy
Epepe

Adelphi
5 ottobre 2017 (VII ed.)
brossura • 217 pagine
€ 13.00 • amazon.it
Ci sono libri che hanno la prodigiosa, temibile capacità di dare, semplicemente, corpo agli incubi. "Epepe" è uno di questi. Inutile, dopo averlo letto, tentare di scacciarlo dalla mente: vi resterà annidato, che lo vogliate o no. Immaginate di finire, per un beffardo disguido, in una labirintica città di cui ignorate nome e posizione geografica, dove si agita giorno e notte una folla oceanica, anonima e minacciosa. Immaginate di ritrovarvi senza documenti, senza denaro e punti di riferimento. Immaginate che gli abitanti di questa sterminata metropoli parlino una lingua impenetrabile, con un alfabeto vagamente simile alle rune gotiche e ai caratteri cuneiformi dei Sumeri - e immaginate che nessuno comprenda né la vostra né le lingue più diffuse. Se anche riuscite a immaginare tutto questo, non avrete che una pallida idea dell'angoscia e della rabbiosa frustrazione di Budai, il protagonista di "Epepe". Perché Budai, eminente linguista specializzato in ricerche etimologiche, ha familiarità con decine di idiomi diversi, doti logiche affinate da anni di lavoro scientifico e una caparbietà senza uguali. Eppure, il solo essere umano disposto a confortarlo, benché non lo capisca, pare sia la bionda ragazza che manovra l'ascensore di un hotel: una ragazza che si chiama Epepe, ma forse anche - chi può dirlo? - Bebe o Tetete.
L'autore
Figlio del celebre scrittore ungherese Frigyes Karinthy, Ferenc Karinthy fu linguista, autore di romanzi e di racconti, drammaturgo e traduttore, oltre che campione di nuoto e di pallanuoto. Fece anche da animatore di quiz letterari in radio e televisione. In Italia sono stati pubblicati i suoi Epepe (Voland 2003 e Adelphi 2015) e Tempi felici (Adelphi 2016).

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